La primavera

La primavera
... sdegno il verso che suona e non crea (Foscolo, "Le Grazie")

lunedì 19 giugno 2017

José Saramago - Il racconto dell'isola sconosciuta


E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere, fu quello che il re effettivamente gli domandò. (...)

Per andare alla ricerca dell'isola sconosciuta, rispose l'uomo, Che isola sconosciuta, domandò il re con un sorriso malcelato, quasi avesse davanti a sé un matto da legare, di quelli che hanno la mania delle navigazioni, e che non è bene contrariare fin da subito, L'isola sconosciuta, ripeté l'uomo, Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più, Chi ve l'ha detto, re, che isole sconosciute non ce ne sono più, Sono tutte sulle carte, Sulle carte geografiche ci sono soltanto le isole conosciute, E qual è quest'isola sconosciuta di cui volete andare in cerca, Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta, Da chi ne avete sentito parlare, domandò il re, ora più serio, Da nessuno, In tal caso, perché vi ostinate ad affermare che esiste, Semplicemente perché è impossibile che non esista un'isola sconosciuta.
(José Saramago, Il racconto dell'isola sconosciuta)

Martha Nussbaum - Non per profitto

  Le esigenze del mercato globale inducono tutti a considerare le conoscenze tecniche e scientifiche come
LE competenze chiave, mentre le lettere, la filosofia e l’arte sono sempre più percepite come inutili fronzoli da tagliare per garantire al paese l’auspicabile competitività. Oggi si tende a considerare le materie umanistiche e artistiche alla stregua di conoscenze tecniche da valutare sulla base di test a risposta multipla, mentre le competenze critiche e inventive che ne costituiscono il nucleo sono messe da parte. (…)

  La questione riguarda in parte i contenuti e in parte la pedagogia. Il contenuto dei programmi non è più una materia che incentiva l’immaginazione e lo spirito critico ma è direttamente mirato alla preparazione al test. Insieme a questo cambiamento di contenuto si sta assistendo a un ancora più preoccupante cambiamento di metodo: da un insegnamento che cercava di promuovere la riflessione e la responsabilità individuali a un indottrinamento forzato ai fini di un buon punteggio al test. (…)
  Ma inseguire un sogno presuppone dei sognatori: intelligenze educate a pensare criticamente a delle alternative e ad immaginare obiettivi ambiziosi – preferibilmente non soltanto in termini economici, ma anche relativi alla dignità umana e alla dimensione democratica. (…)
  Oggi (…) distratti dall’obiettivo del benessere, chiediamo sempre più alle nostre scuole di insegnare cose utili per diventare uomini d’affari piuttosto che cittadini responsabili. (…)
  Quali sono le prospettive se si continua così? Nazioni abitate da persone addestrate tecnicamente che non hanno imparato a essere critiche nei confronti dell’autorità, gente capace di fare profitti ma priva di fantasia. Come disse Tagore, un suicidio dell’anima.
 Le democrazie hanno grandi risorse di intelligenza e di immaginazione. Ma sono anche esposte ad alcuni seri rischi: scarsa capacità di ragionamento, provincialismi, fretta, inerzia, egoismo, povertà di spirito. L’istruzione volta esclusivamente al tornaconto sul mercato globale esalta queste carenze, producendo un’ottusa grettezza e una docilità – in tecnici obbedienti e ammaestrati -  che minacciano la vita stessa della democrazia. (…)
 Se non insistiamo  sul valore fondamentale delle lettere e delle arti, queste saranno accantonate perché non producono denaro.    Ma esse servono a qualcosa di ben più prezioso, servono, cioè a costruire un mondo degno di essere vissuto, con persone che siano in grado di vedere gli altri esseri umani come persone a tutto tondo, con pensieri e sentimenti propri che meritano rispetto e considerazione, e con nazioni che siano in grado di vincere la paura e il sospetto a favore del confronto simpatetico e improntato alla ragione
(Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica)

Eugenio Montale - La felicità, tra illusione e speranza


Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama. 

Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case
(E. Montale, da Ossi di seppia)



Ieri sentii che l'inverno mi aveva
riservata una sorpresa lieta.
Svelavi ad alta voce i miei pensieri.
- E se la vita fosse un mistero vano?
- Resta nel tuo eliso, non essere crudele
verso quel vago senso di speranza
che a noi, solo, rimane. Ben altro
è la felicità. Esiste, forse,
ma non la conosciamo.
(E. Montale, da Diario postumo)


... Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
(E. Montale, da I limoni, in Ossi di seppia)







Esitammo un istante,
e dopo poco riconoscemmo
di avere la stessa malattia.
Non vi è definizione
per questa mirabile tortura,
c’è chi la chiama spleen
e chi malinconia.
Ma se accettiamo il gioco
ai margini troviamo
un segno intellegibile
che può dar senso al tutto.
 (E. Montale, Incontro, in Ossi di seppia)




Chiari mattini,
quando l'azzurro è inganno che non illude,
crescere immenso di vita,
fiumana che non ha ripe né sfocio 

e va per sempre,
e sta - infinitamente.

Sono allora i rumori delle strade
l'incrinatura nel vetro
o la pietra che cade
nello specchio del lago e lo corrùga.
E il vocìo dei ragazzi
e il chiacchiericcio liquido dei passeri
che tra le gronde svolano
sono tralicci d'oro
su un fondo vivo di cobalto,
effimeri...

Ecco, è perduto nella rete di echi,
nel soffio di pruina
che discende sugli alberi sfoltiti
e ne deriva un murmure
d'irrequieta marina,
tu quasi vorresti, e ne tremi,
intento cuore disfarti,
non pulsar più! Ma sempre che lo invochi,
più netto batti come
orologio traudito in una stanza
d'albergo al primo rompere dell'aurora.
E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c'è sosta per noi,
ma strada, ancora strada, 

e che il cammino è sempre da ricominciare.
(E. Montale, A galla, da Poesie disperse)


domenica 18 giugno 2017

F. Fortini - Traducendo Brecht

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
(Franco Fortini, Traducendo Brecht, da Una volta per sempre)



F. Pessoa - Che noi si scriva, si parli o si sia visti

Che noi si scriva, si parli o si sia visti
rimaniamo evanescenti. E tutto il nostro essere
non può in parola o in volto giammai trasmutarsi.
L’anima nostra è da noi immensamente lontana:

per quanta forza si imprima in quei nostri pensieri,
mostrando l’anime nostre con far da vetrinisti,
indicibili i nostri cuori pur sempre rimangono.
Per quanto di noi si mostri continuamo ignoti.

L’abisso tra anime non può esser collegato
da un miraggio della vista o da volo del pensiero.
Nel profondo di noi stessi restiamo ancora celati

quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo.
Siamo i sogni di noi stessi, barlumi di anime,
e l’un per l’altro resta il sogno dell’altrui sogno.
(Fernando Pessoa, Trentacinque sonetti)



R. Magritte, Gli amanti

V. Cardarelli - Amicizia

Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni
che, perduti nel tempo, c’incontrammo,
alla nostra incresciosa intimità.
Ci siamo sempre lasciati
senza salutarci,
con pentimenti e scuse da lontano.
Ci siam riaspettati al passo,
bestie caute,
cacciatori affinati,
a sostenere faticosamente
la nostra parte di estranei.
Ritrosie disperanti,
pause vertiginose e insormontabili,
dicevan, nelle nostre confidenze,
il contatto evitato e il vano incanto.
Qualcosa ci è sempre rimasto,
amaro vanto,
di non ceduto ai nostri abbandoni,
qualcosa ci è sempre mancato.
(V. Cardarelli, Amicizia, da Poesie)



E. Munch, Separazione

Giovanni Giudici - La vita in versi

Sono queste le giornate bianche, 
senza luci né forme – se uno avesse 
un diario, bianca la pagina resterebbe. 
Narrano altri di notti in cui non si dorme, 
ma io qui di giornate per dove il non-vivere 
ci iberna, morti guidati da ciechi 
ci scosta azzoppati ai bordi del campo. 
Mi assillano le tue rabbie futili, 
mi costringono a voltarmi, a guardarti: 
a non-parole opporre parole non serve, 
né silenzi, bisogna aspettare. E quando 
tarda la lettera che dà respiro e così 
l’esito incerto di guadagni e agonìe, 
pretendo che tutto sia chiaro, e chiuso 
con me dentro il mondo che mi porta, 
globo trasparente in sé mi sostiene. 
Non è dunque bontà 
il mio desiderio del bene. 
Per sparse probabilità si verifica 
l’ordine come vorremmo, ma non siamo 
pronti a riconoscerlo – e il tempo spira, 
passa via il momento opportuno. 
Di altro più che realtà ci disturba il pensiero: 
come l’uomo – non so – che all’aperto 
costretto a defecare teme che arrivi 
la guardia o l’impiegato esemplare 
segue con batticuore la teppista puttana 
nell’alberghetto trepido di sorprese. 
QUI ORA ALTROVE NEL FRATTEMPO che cosa 
può accadere? E ti lasci interire 
dalla paura ore bianche, giornate 
bianche, mesi bianchi ti aspettano, 
dovrai aspettare finché 
d’aspettare anche il tempo manchi. 
E aspettando ti senti grado per grado 
scivolare, risali un poco, ma sempre 
meno sulla liscia parete fanno presa 
gli alluci i calcagni dei nostri piedi storpi. 
Sempre meno riguadagni, sempre più perdi. 
Oggi la mia vita ha diecimila giorni 
quindicimila forse vivi davanti
– e tempo sempre più per sorridere 
dei timori assurdi, non guardarmi alle spalle, 
e ragione sempre più di ripetermi: 
sii uomo, non succede niente, tutto 
è già quasi accaduto in quegli affanni 
giovanili. Adesso si leva il buon vento 
che di serenità ci rende vili. 
Per questi segni su questa carta un colore 
darò a questo giorno, un nome. 
Ma nella guasta coscienza io so 
io dubito che altrove o nel frattempo 
un altro è il colore del mondo, altro 
l’amore a cui mi nascondo.
(G. Giudici, Le giornate bianche, da La vita in versi)


Metti in versi la vita, trascrivi
fedelmente, senza tacere
particolare alcuno, l’evidenza dei vivi.
Ma non dimenticare che vedere non è
Sapere, né potere, bensì ridicolo
Un altro voler essere che te.
Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano
Complicità di visceri, saettano occhiate
D’accordi. E gli astanti s’affacciano
Al limbo delle intermedie balaustre:
applaudono, compiangono entrambi i sensi del sublime-l’infame, l’illustre.
Inoltre metti in versi che morire
È possibile a tutti più che nascere
E in ogni caso l’essere è più del dire.
(G. Giudici, La vita in versi, da La vita in versi)



Alcuni inseguono tutta la vita
uno scopo – il disegno di un meccanismo
un seme particolare di grano un incrocio di canarini
l’attuazione di un piano la costruzione di una casa.

Alcuni in abitazioni private o in asili
psichiatrici ritentano solitari di carte
o calcoli di moto perpetuo o altre
più improbabili imprese come rivoluzioni.

Essi sono uomini o donne derisi
o tutt’al più gentilmente commiserati
sia perché l’ambizione che li muove si giudica eccessiva
sia perché appare futile l’obiettivo.

Ma io voglio dire che al confronto
non c’è impresa spaziale né invenzione
pari all’attento studio di costoro che sacrificano
alla cosa impossibile ogni raggiungibile piacere.

Essi hanno parenti amici e figli madri e padri
mogli e mariti hanno maestri e direttori di coscienza
che accampano più esperienza
e che li esortano alla quotidiana concretezza.

Essi come ognuno di noi hanno persone e cose
di cui la presenza stessa ha forza più delle parole
e gli argomenti risultano inoppugnabili
quando gli dicono – pensa a quel che fai.

Non c’è dubbio – i persuasori sono nel giusto
perché è senza conforto lo stato di questi ostinati
e agitato è il loro sonno scarsa la salute del corpo
e non hanno alleata la minima probabilità.

Non è il loro coraggio coraggio di giocatore
o rischio calcolato di trafficante
e nemmeno intuito di stratega o di capo politico
o di chirurgo all’unica estrema occasione.

Essi non hanno con sé la tradizione di una fede
anzi tradiscono a volte
sovvertono la morale fomentano il disordine
in se stessi perduti prima di ogni salvezza.

E non possono indicarti il nome di qualcuno
perché non ha fama chi è nella vera ignominia
né superbia di martirio né la gloria di un emblema
ma grazie ad essi ha un senso la specie uomo.

Pensando di loro ti scrivo queste parole
oggi che dirci insieme è dire nessuna speranza
sbarrati da ogni saggezza sbarrati dalla storia
ormai più di passato che di futuro nutribili.

E chiamandoti a un futuro di penuria
io chiedo la tua insania perché la mia abbia forza
perché si possa dire che è una cosa reale
quella che due distinte persone vedono identica.

E tutto questo è ancora poco al confronto
del nulla di chi insegue un solitario ideale.
Essere umani può anche significare rassegnarsi.

Ma essere più umani è persistere a darsi.
(G. Giudici, Alcuni, da O Bearice)



Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un'altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti coi giornali, i suoi guaìti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l'educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall'angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?
Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d'un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?
Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani... pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C'è più onore in tradire che in esser fedeli a metà.
(G. Giudici, Una sera come tante, da La vita in versi)




sabato 17 giugno 2017

Julio Cortázar - Il futuro

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

(Julio Cortázar, Il futuro, da Le ragioni della collera)





F. Pessoa - Dal mio quarto piano sull'infinito


Dal mio quarto piano sull'infinito, nella plausibile intimità della sera che sopraggiunge, a una finestra che dà sull'inizio delle stelle, i miei sogni si muovono con l'accordo di un ritmo, con una distanza rivolta verso viggi a paesi ignoti, o ipotetici, o semplicemente impossibili.


( Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine)






Cardarelli/Carver - Attesa

Oggi che t’aspettavo non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
S’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere, ha di
questi improvvisi pentimenti.
Silenziosamente ci siamo intesi.
Amore, Amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

(Vincenzo Cardarelli, Attesa)



***



Esci dalla statale a sinistra e
scendi giù dal colle. Arrivato
in fondo, gira ancora a sinistra.
Continua sempre a sinistra. La strada
arriva a un bivio. Ancora a sinistra.
C’è un torrente, sulla sinistra.
Prosegui. Poco prima
della fine della strada incroci
un’altra strada. Prendi quella
e nessun’altra. Altrimenti
ti rovinerai la vita
per sempre. C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. È quella
appresso, subito dopo
una salita. La casa
dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula
crescono rigogliose. È quella
la casa dove, in piedi sulla soglia,
c’è una donna
con il sole nei capelli. Quella
che è rimasta in attesa
fino a ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?”

(Raymond Carver, Attesa)


Herta Müller - Ladri di libertà

   All'epoca (in Romania, ndr.) lavoravo in una fabbrica traducendo le istruzioni d'uso dei macchinari d'importazione tedesca. Da quel momento, ogni paio di giorni, un comandante della Securitate iniziò a venire anche in ufficio. Voleva reclutarmi, come informatore. Dapprima con delle lusinghe ma, quando rifiutai, scagliò il vaso da fiori contro il muro, minacciandomi. Si congedò con la frase: finirai per pentirtene.Ti butteremo nell'acqua.
   Iniziarono buttandomi fuori dalla fabbrica. Adesso ero un nemico dello Stato, oltre che disoccupata. (...)
   Mia madre chiese: che cosa vogliono da te.
   Risposi: paura.
  Era vero. Questa breve parola si spiegava da sé. Perché l'intero Stato era un apparato della paura. C'erano i sovrani della paura e il popolo della paura. Ogni dittatura è formata da chi incute paura e dagli altri, che hano paura. Da chi vuole farti paura e chi morde per paura. Ho sempre pensato che la paura sia lo strumento quotidiano di chi vuole metterti paura e il pane quotidiano di chi, per paura, morde. (...) 
   Non ottenni mai più un posto fisso e non seppi di che vivere. Non avevo un soldo. Occasionalmente mi assegnavano una supplenza in una scuola. Dalla strada sentivo un forte brusio di voci provenire dalla sala insegnanti. Non appena aprivo la porta e mi presentavo in sala, si faceva subito silenzio come in una chiesa. Mi davano un'occhiata e bisbigliavano tra loro. Quanti più "colleghi" avevo intorno, tanto più capivo di essere sola. Al termine della giornata di scuola, mi recavo come tutti alla fermata dell'autobus. Nessuno voleva farsi vedere con me per strada. Una parte degli insegnanti si attardava e restava ben dietro di me. L'altra parte si affrettava e camminava lontano, davanti a me. Lo facevano senza accordarsi, addestrati dalla paura. Altrettanto tremenda quanto le intimidazioni da parte dello Stato e dei servizi segreti era la slitudine. Gli altri insegnanti mi evitavano. Era la loro doppia paura a iolarmi. Avevano paura dello Stato e avevano paura di me. Ero un pericolo. (...)
   La maggioranza delle persone in questo Paese contribuiva alla paura portandola con sé.(...)
   Ti consideravano un individuo solo se venivi perseguitato, perché l'individuo era considerato un insulto. In caso di "mancato adeguamento al collettivo" ti licenziavano. L'individualismo non doveva esistere, nenanche nell'abbigliamento della gente. (...)
   La moda socialista era come un'uniforme. Altrettanto miseri erano mobili, case, parchi, strade. La dittatura allontanava la bellezza da ogni ambito della vita, perché la bellezza è ostinata e particolare e varia. Lo Stato eliminò ogni diversità. (...)
   Nei primi anni dopo la dittatura l'Europa orientale sapeva ancora che la libertà era concreta. Che con la libertà ognuno poteva avere un ruolo, parlare e pensare senza paura, che le frontiere erano finlmente aperte e che si poteva viaggiare. (...) Ma l'euforia è finita. Intorno al successo individuale si aggira anche il rischio individuale. È un binomio che rende nervosi e rimette voglia di appoggiarsi. Torni ad augurarti di essere guidato.  È come una ricaduta che nessuno aveva previsto. (...)
   L'eredità di ogni dittatura è un insieme di dipendenze. La nuova libertà le ha solo celate ma non sono mai scomparse. La dittatura è finita ma le sinpsi sociali tornano a farsi sentire, destabilizzando i Paesi dell'Europa orientale e le loro giovani democrazie.
E questa non è fose la nota "dittatura comoda"? (...)

Dopo il 1989 non ho mai pensato, neanche in sogno, che si potesse rimettere in discussione llibertà. Né che potesse esserci qualcuno che volesse incutermi paura e trasformarmi in una che morde per paura.
Sì, la libertà è qualcosa di cui alcuni hanno bisogno e alri no.
Ed è anche qualcosa che alcuni temono e altri no.
La libertà non va mai data per scontata.
Altrimenti potrebbero rubarcela.

(Herta Müller, premio Nobel per la Lettratura 2009,"La Lettura" n. 48, in "Corriere della Sera", 24.12.2016)



A. Merini - A tutti i giovani raccomando



A tutti i giovani raccomando:

aprite i libri con religione,

non guardateli superficialmente,

perché in essi è racchiuso

il coraggio dei nostri padri.

E richiudeteli con dignità

quando dovete occuparvi di altre cose.

Ma soprattutto amate i poeti.

Essi hanno vangato per voi la terra

per tanti anni, non per costruirvi tombe,

o simulacri, ma altari.

Pensate che potete camminare su di noi

come su dei grandi tappeti

e volare oltre questa triste realtà quotidiana.
(A. Merini da La vita facile)


G. Rodari - Educazione e passione



Intendo per «passione» la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza nel rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di «sognare in grande»; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima; il coraggio di dire di no quand’è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non «fare come gli altri», anche se per questo bisogna pagare un prezzo.
(Gianni Rodari, Educazione e passione , 1966)