La primavera

La primavera
... sdegno il verso che suona e non crea (Foscolo, "Le Grazie")

mercoledì 21 febbraio 2024

IL TEMPO, LA VITA

 

IL TEMPO

Le dita sulla tastiera del computer schioccano
– solo piú leggermente –
come un tempo la macchina per scrivere.
Era bello quel nome: macchina, ancora meglio
quando senza la c ritorna machina.
Impalcatura per un dio o un assedio,
ariete per abbattere le mura.
Rimandava a un arto di ferro, un ordigno
e un artiglio che ubbidiva al cervello.
Eppure non ha senso
rimpiangere il passato,
provare nostalgia per quello che
crediamo di essere stati.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule:
adesso siamo chi non eravamo.
Anche vivendo – lo dimentichiamo –
restiamo in carica per poco.

Antonella Anedda , da Historiae, Einaudi, Torino, 2018

Il tempo della vita in cui “restiamo in carica”, quello che autenticamente ci appartiene, è breve. L’ispirazione del concetto di A. Anedda coincide con un principio senecano relativo alla brevità effettiva della vita umana rispetto alle aspettative e ai desideri di ognuno: è esigua la parte della vita in cui, appunto, “restiamo in carica”, cioè viviamo veramente e non ci limitiamo a stare in vita, a esistere o sopravvivere o vivere solo biologicamente. Scrive infatti il filosofo nel suo De Brevitate vitae: Hi si volent scire quam brevis ipsorum vita sit, cogitent ex quota parte sua sit (“Se questi vorranno sapere quanto sia breve la loro vita, considerino quanta parte di essa gli appartenga”).

Ovviamente è inutile rimpiangere il passato e le occasioni perdute: il passato è irrevocabile e non si può vivere di nostalgie (il dolore per un ritorno impossibile), non siamo più quelli di ieri e con le nostre continue trasformazioni (siamo chi non eravamo) dobbiamo misurarci e fare i conti. Ma possiamo incominciare a vivere e a dare senso al tempo che ci resta, facendo le nostre scelte.

È questo il messaggio che viene dagli antichi: più che il rammarico per il passato che non torna e per la brevità dell’esistenza, gli antichi danno un messaggio costruttivo su come vivere il tempo, sulla sua qualità. Il dato oggettivo è che il tempo è un “ritaglio” (dal greco, "temno", tagliare) rispetto all’intero dell’eternità (aéi=sempre), ma solo questo ritaglio abbiamo (Seneca, Ep. I,1. tempus tantum nostrum est: di tutti i beni solo il tempo è davvero nostro, dipende da noi e dall’attenzione che gli dedichiamo) e dobbiamo fare in modo che sia bello e non vada sprecato.

Inseguendo l'ombra, il tempo invecchia in fretta, scriveva Crizia (Atene, 460 a.C. – Atene, inverno 403 a.C.), politico, scrittore e filosofo greco antico, già discepolo di Socrate e in seguito capo dei Trenta tiranni di Atene. E a questo frammento A. Tabucchi si è ispirato per la sua raccolta di racconti intitolata, appunto, Il tempo invecchia in fretta, proprio per sottolinearne la fugacità.
L’esortazione di Crizia è chiara: dobbiamo cercare di dare spazio a momenti che abbiano valore e non a vane illusioni, dobbiamo cercare di capire che cosa veramente conta per rimanere davvero immortali nel ricordo di chi resta: non saremo ricordati per i soldi che avremo accumulato o per le macchine che avremo venduto, comprato, piuttosto per l’amore che avremo saputo dare.

 Orazio nel Carpe diem dà indicazioni ancora più pratiche, suggerisce una vera e propria ars vivendi.


Hor. carm. 1,11
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi 
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios 
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati. 
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, 
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: 
sapias, vina liques, et spatio brevi 
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida 
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.

Luca Canali

Non chiedere, o Leuconoe (è illecito sapero) qual fine abbiano a te e a me assegnato gli dei, e non scrutare gli oroscopi babilonesi. Quant’è meglio accettare quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni, oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca lunghe speranze per la vita breve. Parliamo e intanto fugge l’astioso tempo. Afferra l’oggi, credi al domani (postero diei sott.) quanto meno puoi.

 Carpere da karpós (frutto): dobbiamo saper riconoscere i momenti belli da eternare, come sappiamo riconoscere il sapore di un frutto polposo (quando non è acerbo, né appassito) o di un fiore: dipende da noi saper fare attenzione al senso delle cose, dei momenti che contano e renderli eterni (viverli e ricordarli). Non si tratta di cercare la straordinarietà di imprese eccezionali o memorabili: la capacità sta nel saper trovare la straordinarietà nell’ordinario, nel saper riconoscere come prezioso un momento per il senso che noi gli attribuiamo e gli riconosciamo (un incontro, un abbraccio, una chiacchierata, una lettura, una giornata particolare al lavoro, uno scambio di idee, un bacio). Orazio ci dice che dobbiamo dare noi sapore alla nostra vita filtrando le esperienze, in modo tale da saper distinguere ciò che ha sapore/ valore e ciò che invece è solo scarto, inutile, superfluo (sapias, vina liques)

Questo significa vivere il presente – l’unico tempo che davvero ci appartiene – con attenzione e cura, affinando la capacità di cogliere il senso, il valore e la bellezza inattesa e straordinaria che si nasconde nell’ordinario: le risate nascoste dei bimbi tra le foglie. È questione di prospettiva, di esercizio: bisogna farci caso, alla vita.

Inattese in un raggio di sole
mentre la polvere si muove
si alzano le risate nascoste
dei bimbi tra le foglie
Presto, qui, ora, sempre –
ridicolo, sprecato e triste il tempo
che prima e dopo si stende.

T. S. Eliot, Burt Norton (castello disabitato nel Gloucestershire, Inghilterra), in Quattro quartetti

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.