La primavera

La primavera
... sdegno il verso che suona e non crea (Foscolo, "Le Grazie")

mercoledì 3 gennaio 2024

P. P. PASOLINI - IRROMPONO I GRILLI

 

Irrompono negli orecchi, fissi,                                           

dai nuovi campi dell’Aniene i vecchi
grilli, e mi gridano in silenzio
la mia inascoltata solitudine.
Scomparso dentro questa vecchia
calma campestre che non è la mia
rincaso, e sotto i lontani punti
dei lumi dei sobborghi, i grilli
sollevano un canto che ricopre
con la malinconia il rimorso
e con la monotonia il terrore.

Pier Paolo Pasolini

da: Poesia 278, Anno XXVI, gennaio 2013, Crocetti

Questi versi di Pasolini si riferiscono a un momento preciso della sua vita: il poeta ha appena lasciato Casarsa per recarsi a Roma – siamo nel gennaio del 1950 – dopo un evento traumatico e per quei empi scandaloso: a Ramuscello, durante la festa di Santa Sabina Pasolini sia apparta con un ragazzo. Per questo verrà processato con l’accusa di corruzione di minore e atti osceni in luogo pubblico, viene espulso dal PCI e perde il suo lavoro di insegnante presso la scuola di Valvasone.

Lo stato d’animo con cui il poeta raggiunge Roma è quello di un esiliato in cammino verso l’ignoto tra gente estranea.

Pertanto il silenzio in cui irrompono i grilli ha sfumature molteplici: è il restare inascoltati nella solitudine, nel deserto affettivo, illuminato solo dalla inseparabile madre Susanna Colussi; è lo smarrimento, lo sradicamento dell’esule che in una terra nuova si prepara ad affrontare le incognite del futuro con addosso il peso del passato.

In questa dimensione il canto dei grilli è come un grido nel silenzio – i grilli infatti sono antropomorfizzati e non friniscono, ma gridano – il loro canto non è un conforto, una consolazione bucolica, è un verso malinconico e monotono nel quale il poeta sente rispecchiarsi il suo stato d’animo in cui si mescolano rimorso del passato e terrore per il futuro.

E i grilli che squarciano il silenzio sono vecchi, sono i grilli di un’antica tradizione letteraria, sono grilli “parlanti”, rappresentano la voce della coscienza con cui il poeta si sente condannato a fare i conti come un peso che schiaccia, e che prende forma nel rimorso di una colpa che una società ancora primitiva gli ha addossato.

Il silenzio, allora, è quello di una forte estraneità di Pasolini al tempo in cui vive, ai suoi valori ipocriti e perbenisti, un'estraneità che diventa dolore insopprimibile se la coscienza soggettiva ha interiorizzato la morale comune e non è libera di avere una voce propria.

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