IL TEMPO
– solo piú leggermente –
come un tempo la macchina per scrivere.
Era bello quel nome: macchina, ancora meglio
quando senza la c ritorna machina.
Impalcatura per un dio o un assedio,
ariete per abbattere le mura.
Rimandava a un arto di ferro, un ordigno
e un artiglio che ubbidiva al cervello.
Eppure non ha senso
rimpiangere il passato,
provare nostalgia per quello che
crediamo di essere stati.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule:
adesso siamo chi non eravamo.
Anche vivendo – lo dimentichiamo –
restiamo in carica per poco.
Antonella Anedda , da Historiae, Einaudi, Torino, 2018
Il tempo della vita in cui
“restiamo in carica”, quello che autenticamente ci appartiene, è breve.
L’ispirazione del concetto di A. Anedda coincide con un principio senecano
relativo alla brevità effettiva della vita umana rispetto alle aspettative e ai
desideri di ognuno: è esigua la parte della vita in cui, appunto, “restiamo in
carica”, cioè viviamo veramente e non ci limitiamo a stare in vita, a esistere
o sopravvivere o vivere solo biologicamente. Scrive infatti il filosofo nel
suo De Brevitate vitae: Hi si volent scire quam brevis ipsorum
vita sit, cogitent ex quota parte sua sit (“Se questi vorranno sapere
quanto sia breve la loro vita, considerino quanta parte di essa gli appartenga”).
Ovviamente è inutile rimpiangere
il passato e le occasioni perdute: il passato è irrevocabile e non si può
vivere di nostalgie (il dolore per un ritorno impossibile), non siamo più
quelli di ieri e con le nostre continue trasformazioni (siamo chi non
eravamo) dobbiamo misurarci e fare i conti. Ma possiamo incominciare a
vivere e a dare senso al tempo che ci resta, facendo le nostre scelte.
È questo il messaggio che viene
dagli antichi: più che il rammarico per il passato che non torna e per la
brevità dell’esistenza, gli antichi danno un messaggio costruttivo su
come vivere il tempo, sulla sua qualità. Il dato oggettivo è che il tempo è
un “ritaglio” (dal greco, "temno", tagliare) rispetto all’intero dell’eternità (aéi=sempre), ma solo questo
ritaglio abbiamo (Seneca, Ep. I,1. tempus tantum nostrum
est: di tutti i beni solo il tempo è davvero nostro, dipende da noi e
dall’attenzione che gli dedichiamo) e dobbiamo fare in modo che sia bello e
non vada sprecato.
Hor. carm. 1,11 Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati. seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem quam minimum credula postero. |
Luca Canali Non chiedere, o Leuconoe (è illecito
sapero) qual fine abbiano a te e a me assegnato gli dei, e non scrutare gli
oroscopi babilonesi. Quant’è meglio accettare quel che sarà! Ti abbia
assegnato Giove molti inverni, oppure ultimo quello che ora affatica il mare
Tirreno contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca lunghe speranze
per la vita breve. Parliamo e intanto fugge l’astioso tempo. Afferra l’oggi,
credi al domani (postero diei sott.) quanto meno puoi. |
Questo significa vivere il
presente – l’unico tempo che davvero ci appartiene – con attenzione e cura,
affinando la capacità di cogliere il senso, il valore e la bellezza
inattesa e straordinaria che si nasconde nell’ordinario: le risate nascoste
dei bimbi tra le foglie. È questione di prospettiva, di
esercizio: bisogna farci caso, alla vita.
Inattese in un raggio di sole
mentre la polvere si muove
si alzano le risate nascoste
dei bimbi tra le foglie
Presto, qui, ora, sempre –
ridicolo, sprecato e triste il tempo
che prima e dopo si stende.
T. S. Eliot, Burt Norton (castello
disabitato nel Gloucestershire, Inghilterra), in Quattro quartetti