La primavera

La primavera
... sdegno il verso che suona e non crea (Foscolo, "Le Grazie")

venerdì 24 marzo 2017

Cortázar - LA MANIA DEL LOGOS

“IO ACCETTAVO UNA REALTÀ PIÙ GRANDE, IN CUI ENTRAVA TUTTO”
Quando ero bambino la mia nozione delle cose fantastiche era molto diversa da quella dei miei compagni di classe. Per loro il fantastico era qualcosa da rifiutare perché non aveva a che fare con la verità, con la vita, con quel che stavano studiando e imparando.
In quello stesso scritto (1) ho raccontato, perché credo che sia molto significativo, lo sconcerto che provai una volta quando prestai un romanzo a un compagno di classe a cui volevo molto bene. Era uno dei romanzi meno conosciuti di Jules Verne, “Il segreto di Wilhelm Storitz”, nel quale Verne propone per la prima volta il tema dell’uomo invisibile. Lo prestai al mio compagno che me lo restituì dicendo: “Non riesco a leggerlo. È troppo fantastico”. 


Allora mi resi conto di cosa succedeva: per me, già da piccolo, il fantastico non era ciò che la gente considerava fantastico; per me era un modo della realtà, che in certe circostanze si poteva manifestare, attraverso un libro o un fatto, ma non era una frattura all’interno di una realtà stabilita. 

Credo che a quel tempo io fossi già profondamente realista, più realista dei realisti, dato che i realisti come il mio amico accettavano la realtà solo fino a un certo punto, e tutto il resto era fantastico.

Io accettavo una realtà più grande, più elastica, più dilatata, in cui entrava tutto.

Il fantastico non mi è mai sembrato fantastico.
Non è una scappatoia, è un contributo a vivere più profondamente questa realtà.
(Julio Cortázar, “Lezioni di letteratura”, Berkeley, 1980)

1 - "Il giro del giorno in ottanta mondi"


- L’uomo si aggrappa alla scienza come a quell’affare che non ho mai capito bene cosa sia e che si chiama àncora di salvezza. Nonostante tutta la sua curiosità e tutta la sua insoddisfazione, la scienza, cioè la ragione, comincia per calmarci. Tutto molto eccitante, vertiginoso, ma sempre a partire dalla poltrona in cui siamo comodamente seduti.
- Senti, Horacio: sei qui anche tu. La notte passa per tutti e due, fuori piove per tutti e due. Che ne so cosa sia la notte, il te
mpo la pioggia? Però sono lì e fuori di me, sono cose che capitano a me, niente da fare.
- Ma certo – disse Oliveira – chi te lo nega? Ma quel che non capiamo è per qual ragione deve capitare così, per qual ragione noi siamo qui e fuori sta piovendo. L’assurdo non sono le cose, l’assurdo è che le cose siano lì e noi le si senta assurde. A me sfugge la relazione fra me e quel che mi sta capitando in questo momento. Non ti nego che mi stia capitando. Altroché, mi capita. E questo è l’assurdo.

I miracoli, mai mi sono sembrati assurdi; l’assurdo è quanto li precede e li segue.
(Julio Cortazár, “Rayuela. Il gioco del mondo”)



Finisco sempre coll’alludere al centro senza la minima garanzia di sapere quel che dico, cedo al facile tranello della geometria con cui si pretende di far ordine alla nostra vita. (…) Quel che non mi va giù è la mania delle spiegazioni, il Logos.
(Julio Cortázar, “Rayuela. Il gioco del mondo”)